Orsa se n’è andata,
così ne ho trattenuto
il ricordo in questo letto
di terra, a lei caro.
A volte vi sboccia tardivo
il sorriso di un fiore
a consumarsi poi
nello splendore decadente
di un giardino d’autunno.

Generosa ti nutra la terra
e fresca acqua ti disseti,
tenero fiore di campo
che fiorisci alla vita.
Il sole luce al tuo giorno
e culla al tuo sonno la luna,
piccolo fiore di campo,
che hai nome di perla.

Passerà anche questa pena
in una consolazione dolce
di lacrime quale pioggia
d’aprile a lavare via lo sporco
dalle strade e dalla mente
i cattivi pensieri.
Se ne andrà un mattino
con i cortili che si rallegrano
di un candore di panni
ad asciugare al sole.

Rocca di Canossa

Spaziano gli occhi, socchiusi
sul tramonto che accende la terra,
ma poi lo sguardo si ferma
là dove interrompe il piano
aspro sperone, di roccia forgiato.
Diroccate mura ne fanno vaga
corona nell’aria ad imbrunire
mentre i contorni sfumano
e le forme s’indovinano ora
in giochi di fantasie sfuggenti.
Finzioni a maturare immagini
di pensieri che sul far della sera
indossano un saio d’umiltà
e l’orgoglio ancora s’inchina.

Agosto 2016

Posso sentire e perfino accettare
il grido della terra che nella notte
improvviso strazia il silenzio.
Posso guardare le macerie,
i corpi senza vita, i volti altrettanto
senza vita dei sopravvissuti
e piangere per loro.
Posso anche cristianamente
inchinarmi al disegno di una volontà
superiore che pure non riconosco.
Posso capire, sopportare tanto;
quasi tutto, non la voce oscena
dei bastardi che brindano.

Pietra di Bismantova

Dalla nuda rupe solitaria,
rifugio a demoni ed eremiti
un tempo qui compagni,
libero spazia lo sguardo
su pianori e profili di colline.
Vestigia di antiche chiese
ne segnano i borghi sparsi,
allineati su tortuose vie
attraverso le quali è guida
un soffio di campane.

Ratto batto

E nella mente mi torna
di una chiesa di campagna
quando al tramonto il sole
di crepe ne arrossa
la fronte corrugata.
Tardiva ora ha ormai smarrito
la traccia sbiadita
della vecchia meridiana
così senza preavviso,
in punta di piedi,
discreto è giunto il buio.
Nel pozzo nero della notte
intanto si è smarrita la luna
e a vuoto si tuffano gli occhi
irretiti in un inganno di riflessi.
Poi, spossati, si abbandonano
alla carezza di un sonno precoce
e di morti si popolano i sogni.

Nell’acqua si nasce alla vita
e con l’acqua ancora
si rinasce nell’anima.
Di corpo e d’anima così sono
e di entrambi avvertirò le seduzioni,
ne rincorrerò i piaceri,
ma possa coltivarne l’armonia
così che carne e spirito
siano in me un uno.

In occasione della mostra fotografica Costermano e il suo territorio a cura del circolo”Foto Club”. Costermano 21-25 agosto 2014.
Fotografia di Pietro Gelmetti su gentile concessione dell’autore.

Nota dell’autore
La bella terra del sud è ovviamente quella cantata da Goethe nella sua celebre, almeno per noi italiani, ballata di Mignon. Il convento, al quale si accenna, è quello nel Medioevo popolato dalle monache del monastero femminile di Santa Giulia di Brescia; il lago d’Ildebrando è il Garda, su cui dall’omonima rocca nel mito germanico avrebbe dominato il prode vassallo di Attila, giustiziere di Crimilde.
Il campo d’erica, ripreso nell’immagine di questa mostra e che mi ha coinvolto, è quello che si stende sul colle ora consacrato a Cimitero militare tedesco. Lì ebbi occasione di recarmi alcuni anni addietro con i miei studenti insieme ai loro coetanei di Gau-Algesheim e non ho dimenticato la profonda emozione che ci prese in un comune sentimento di pietà.
Questa composizione così nasce forse ancora da quell’esperienza, oggi richiamata, ma mi piace pensare ad una solidarietà, una complicità di donne che ricuce le lacerazioni della guerra, ne è antidoto ai veleni e conforto nel dolore. E a Costermano quale luogo di pace.

La processione mesta
dei sopravvissuti
sfila attraverso la navata
maleodorante d’incenso
e di grevi pensieri.
Ognuno, suo malgrado,
consuma con disagio
un anticipo di morte
e, quando in accordo
con lo scandire dei requiem
gravi battono i rintocchi,
la campana suona per lui.